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Dalla parte dei gatti

Storia dell'odio e dell'amore per un animale che ci ricorda che follia, isterismo, e ribellione sono inamovibili dalla psiche umana.

“Cats and the Internet” è una pagina Wikipedia la cui sola esistenza già accerta la venerazione del web per i gatti. In essa si legge che “le ricerche suggeriscono che vedere contenuti online dedicati ai gatti genera emozioni positive, e potrebbe addirittura fungere da terapia digitale o come modo per ridurre lo stress per alcuni utenti.” Nessuna allucinazione, dunque, se vi siete sentiti in pace con il mondo quando sul vostro feed di Instagram è comparso l’ennesimo gattino della giornata. Prima della loro conquista di Internet, pur con qualche eccezione (leggasi: antico Egitto), però, i gatti non se la passavano granché bene. È dunque facile incontrare maltrattamenti di felini e tradizioni negative legate ai gatti che lasciano trapelare le più comuni paure e tribolazioni umane.

Si può iniziare dal generico sospetto che il bakeneko (e la sua versione femminile, nekomusume) oppure il nekomata suscitano in Giappone: queste creature — degli yokai, cioè demoni della mitologia nipponica — hanno le sembianze di gatti. Il bakeneko diventa tale quando un gatto anziano, oppure di grosse dimensioni, muore: spesso la sua anima si aggancia a degli esseri umani ancora in vita, impossessandosi di loro e portandoli a compiere atti riprovevoli. Il nekomata, invece, è un gatto a due code — significato letterale del suo nome giapponese — che si diverte a tormentare gli esseri umani, spesso per vendetta nei confronti di chi lo maltrattò in vita. 

Se i gatti di cui Robert Darnton riferisce in Il grande massacro dei gatti e altri episodi della storia culturale francese fossero stati giapponesi e non francesi, molto probabilmente avrebbero avuto un gran daffare a vendicarsi, considerato quel che capitò loro. Lo storico riporta la testimonianza di un certo Nicolas Contat, che verso la fine degli anni Trenta del XVIII secolo lavorava in una tipografia di Parigi. Contat e i suoi colleghi — non riuscendo a sopportare ulteriormente le pessime condizioni lavorative, il cibo rancido e il poco riposo a causa degli strazianti miagolii notturni dei gatti randagi — decisero di vendicarsi uccidendo la grise, la gatta grigia che la moglie del proprietario del negozio, Jacques Vincent, teneva con sé. Poi, acciuffarono quanti più gatti randagi poterono e organizzarono un finto processo, con tanto di guardie, confessore e boia — tutti interpretati dai lavoratori della tipografia. I gatti furono letteralmente condotti al patibolo e uccisi: Contat ricorda la gioia e le risate di quel momento, un vero e proprio delirio collettivo all’apparenza ingiustificato. La messinscena del processo fu ripetuta svariate volte nei giorni seguenti, provocando la morte di molti altri animali e lasciando Vincent e consorte sempre più allibiti.

Se tralasciamo per un istante la brutalità di questa vicenda, è facile capire che il proprietario del negozio, sua moglie e la grise — gatta con più privilegi dei lavoratori — indicano la parte per il tutto: sono il simbolo (o i tre simboli) di un potere borghese che sottomette le fasce più basse della popolazione, ora in cerca di vendetta a causa dei soprusi subiti. Le risate e la gioia collettiva a cui Contat e compagni si abbandonano sono la doppia reazione dei sottomessi: per dirlo con Baudelaire, ridono (e il riso è diabolico) per il moto d’orgoglio che li fulmina dopo aver preso in mano la situazione e averla, a loro modo, risolta. Oppure, per dirlo con Hobbes, quello della risata è un momento di sudden glory derivante dalla presa di coscienza della propria superiorità — direi, qui, soprattutto nei confronti dei gatti, facilmente considerabili al nostro occhio vittime innocenti; all’occhio dei lavoratori creature inferiori la cui morte non avrebbe portato dispiacere.

Tra le cause della Mass Psychogenic Illness ci possono essere condizioni di stress più o meno temporanee che portano alla rapida diffusione di determinati sintomi in un gruppo coeso di persone prive di potere.

Contat e tutte le persone che lavoravano insieme a lui paiono propriamente rientrare nel quadro dell’MPI, cioè la Mass Psychogenic Illness o psicosi di massa: tra le cause di questo disturbo ci possono essere condizioni di stress più o meno temporanee che portano alla rapida diffusione di determinati sintomi in un gruppo coeso di persone prive di potere. L’isteria è la loro ultima risorsa per dimostrare agli “altri” che qualcosa non va. In questo caso i gatti sono stati vittime delle vittime, doppiamente degni della nostra compassione così come dell’essere resi simbolo di una “guerra tra poveri” che, finite le risate e smantellato il patibolo, non ha portato nessuna miglioria nella vita dei subordinati di Jacques Vincent. 

Un’altra forma di dissenso contro l’ordine costituito è il sabba, dove le streghe erano talvolta affiancate dai gatti. La filosofa e attivista Silvia Federici, nel suo celeberrimo Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, scrive che “il sabba notturno rappresenta la demonizzazione dell’utopia incarnata nella ribellione contro i padroni e nell’infrangersi dei ruoli sessuali, e veniva altresì condannato perché rappresentava un uso del tempo e dello spazio in netta contrapposizione alla nuova disciplina del lavoro capitalistica.” Più dissenso di così, non si può. Lo stesso testo ci ragguaglia su quale fosse la considerazione che si aveva degli animali che la strega — solitamente una donna vecchia, sola e povera — teneva con sé: erano segni della presenza del diavolo nella vita della malcapitata.

Naturalmente, tra gli animali che le streghe accudivano c’erano i gatti: non più sacrifici della “guerra tra poveri”, ma fedeli alleati di quelle reiette che per secoli furono (e sono ancora) oggetto di caccia. Il gatto (nero) della strega era l’incarnazione del diavolo, dunque caricava sulle proprie piccole e pelose spalle il peso dell’odio e dei timori diffusi tra le fila della Chiesa così come nei più remoti villaggi rurali d’Europa. Donne e gatti, insieme ad altri animali come capre e rospi, sono le vittime della più grande allucinazione di massa della storia che ha portato familiari, amici e vicini di casa a sospettare l’uno dell’altra, finendo per favorire soltanto il potere — temporale e religioso.  

Donne e gatti sono le vittime della più grande allucinazione di massa della storia che ha portato familiari, amici e vicini di casa a sospettare l’uno dell’altra, finendo per favorire soltanto il potere.

I gatti sono anche in qualche modo protagonisti di un caso di MPI riportato dal filosofo, medico e naturalista svizzero Johann Georg Ritter von Zimmermann nella sua opera Über die Einsamkeit (1784). Lì l’autore sostiene che la mente delle donne, essendo a suo parere più facilmente soggiogabile ed eccitabile di quella degli uomini, le renda più suscettibili alla follia, soprattutto se vivono in reclusione, costrette a rivolgere i propri pensieri solo a loro stesse. Come nei conventi.

Ed eccoci, infatti, in un grande convento francese di cui Zimmermann scrive di aver letto in un trattato medico, senza dare informazioni più precise a riguardo. Un giorno una suora iniziò a miagolare; in risposta, una sorella fece lo stesso. Nel giro di poco tempo tutte le donne presenti in convento presero a miagolare ogni giorno, ad un preciso momento, andando avanti per ore. Il “daily cat-concert”, come lo chiama Zimmermann, udito da tutti gli abitanti delle vicinanze, continuò fino a quando le suore furono informate della presenza della polizia presso l’ingresso del convento. Muniti di bastoni, i poliziotti avrebbero colpito le suore-gatte fino all’ultimo miagolio. Lo stesso autore riporta anche un altro caso analogo: in Germania alcune suore avrebbero iniziato a mordersi tra loro, poi la notizia si sarebbe sparsa fino a raggiungere conventi olandesi e italiani, arrivando persino a Roma. Se quella del mordersi per difesa, attacco o gioco non è una prerogativa esclusiva dei gatti, questo caso di isterismo funge da ottimo pendant per quello delle suore che miagolano.

Un giorno una suora iniziò a miagolare; in risposta, una sorella fece lo stesso. Nel giro di poco tempo tutte le donne presenti in convento presero a miagolare ogni giorno.

Fermiamoci per un attimo sulle condizioni a cui la maggior parte delle suore sono state costrette per secoli: si trattava di donne spesso obbligate a ritirarsi in convento per obbedire al volere della famiglia, talvolta in seguito a stupri o mutilazioni, e costrette a seguire ritmi serrati. Condizioni di stress in un gruppo coeso di persone prive di potere: un terreno, come abbiamo visto, più che fertile per la comparsa dell’MPI. Naturalmente però, vista la storia infinita del legame tra donne, gatti neri e diavolo, le vicende delle meowing e biting nuns sono state spesso lette non come casi di isteria di massa, ma come segni della presenza del maligno: un maligno che insidia la Chiesa dall’interno e che, soprattutto, degrada la donna ad animale.

In quanto gente di Internet, abituata ai gattini più dolci che ci siano, ci risulta facile rigettare la visione infernale associata a questi animali: nessun demone che turba la vita in convento, solo teneri animaletti da mandare sotto forma di GIF. Semmai nekomimi e catboys (rispettivamente ragazze e ragazzi che indossano costumi e accessori felini) spopolano, anche ponendosi come simboli del rigetto di un’etica e un’estetica socialmente imposte — ma sempre più fragili. Le nekomimi, certo: come oggetto passivo del desiderio altrui, sono protagoniste delle fantasie (allucinazioni?) di quegli otaku monomaniaci — vale a dire persone, generalmente uomini, ossessionati da manga e anime — che immaginano con loro relazioni e rapporti, evadendo da una realtà che rifiuta gli otaku stessi mentre loro rifiutano lei. Ribellione più propriamente attiva, invece, è quella dei catboys che indossando — oltre a orecchie, coda e zampe feline — abiti e accessori tradizionalmente “da donna”, come il maid dress, si scrollano di dosso l’aspettativa del macho sia negli atteggiamenti che nell’apparenza.

La prossima volta in cui qualcuno vi farà la fatidica domanda, “Gatti o cani?”, potrete rispondere sapendo che scegliere i primi significa stare dalla parte delle vittime innocenti di una rivolta causata dal logorio della vita moderna del XVIII secolo; dalla parte dei martiri inconsapevoli di una secolare caccia alle streghe; dalla parte degli emblemi di un’etica-estetica che fa del rigetto dell’ordine costituito il proprio forte. Stare dalla parte dei gatti significa accettare la follia, l’isterismo, la paura e la ribellione in quanto esperienze irremovibili dalla psiche umana — ma che, come insegna Wikipedia, possono essere domate guardando una gif di micetti oppure accarezzandone uno, come, pare, fosse solito fare Gregorio Magno. Dopo aver abbandonato il soglio papale e fattosi monaco, un gatto era l’unico bene materiale di cui disponeva — segno che anche nel Medioevo qualcuno dalla parte dei gatti c’era.

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