iii.

Sentire è credere

Le storie sono contagiose: possono farsi strada nella nostra fisiologia in modi che ancora non conosciamo del tutto.

Quando i diplomatici americani nella città cinese di Guangzhou hanno cominciato, poco tempo fa [questo articolo è stato pubblicato originariamente nel 2018, NdR], a raccontare di inspiegabili sintomi di origine misteriosa che si erano diffusi tra gli impiegati del Consolato, mi è tornata alla mente un’altra “malattia misteriosa” che avevo studiato nella cittadina di Fuhu, qualche ora a sud di Guangzhou.

Un pomeriggio del maggio 2004, mentre si trovava alla scuola locale, un bambino di otto anni disse di sentirsi come se i genitali gli si stessero rimpicciolendo. Nel panico, corse a casa, dove i genitori chiamarono la guaritrice — una donna ottuagenaria che affermò che non era la prima volta che le succedeva una cosa simile: nel 1963, disse, ai tempi del Grande balzo in avanti, un “vento maligno” aveva attraversato il villaggio e molte persone erano state colte dalla malattia chiamata “suo-yang”. Curò il bambino con la medicina tradizionale, e lui si riprese in fretta. 

Due giorni dopo, quando il preside della scuola apprese l’accaduto, fece radunare tutti i 680 studenti nel cortile e, secondo quanto riportato dal dottor Li Jie dell’ospedale psichiatrico di Guangzhou, “spiegò agli studenti nel dettaglio quanto era successo, e li invitò a essere cauti e agire subito se avessero notato sintomi analoghi.”

Nel giro di due giorni, altri 64 bambini furono colpiti dalla suo-yang, che nella sua forma infettiva viene definita in letteratura una “psicosi di massa” o “risposta collettiva da stress”. Quanto avvenuto a Fuhu è un caso da manuale di come una malattia di questo tipo si diffonda in un gruppo di persone. Il preside ha fatto la cosa peggiore possibile: spiegare in dettaglio i sintomi e dire agli studenti che erano in pericolo. Causando, di fatto, l’epidemia. 

Nel giro di due giorni, altri 64 bambini furono colpiti dalla suo-yang, che nella sua forma infettiva viene definita in letteratura una “psicosi di massa”o “risposta collettiva da stress”.

Quattordici anni dopo, due ore a nord, i diplomatici americani a Guangzhou hanno ripetuto il suo errore. Anche se i due episodi possono non sembrare correlati, per chi studia le psicosi di massa il parallelismo è chiaro. La differenza principale, però, è che quando il fatto avviene in una scuola, le conseguenze sono minori. Quando succede in un’ambasciata, i costi geopolitici sono alti. 

È successo nel 2016 a Cuba, dove diversi impiegati dell’ambasciata statunitense all’Havana sono stati colpiti da sintomi inspiegabili tra cui mal di testa, vertigini, dolori auricolari e problemi d’udito. Il Dipartimento di stato l’ha bollato come un “attacco alla salute” forse causato da “armi soniche”. Si diceva che le vittime avessero subito modifiche alla sostanza bianca del cervello — modifiche indicative di trauma cranico, anche se i neurologi che studiano i “disturbi neurologici funzionali”  sono scettici a riguardo, dato che anche le psicosi possono causarle. 

Anche in Cina è cominciato lo stesso processo. Così funzionano le psicosi di massa: a maggio di quest’anno [2018, NdR] secondo il New York Times, uno degli impiegati del governo americano ha riportato una sensazione “vaga e leggera, ma anormale, a udito e pressione.”

Le autorità americane hanno allora allertato gli altri impiegati dell’ambasciata mandando una mail che diceva, “Se siete in Cina ed esperite fenomeni uditivi o sensoriali inusualmente acuti, accompagnati da suoni perforanti, non cercatene la fonte ma spostatevi in un luogo ove non siano presenti,” secondo Reuters. Le stesse autorità invitavano anche chiunque avesse ingerito “alimenti strani” a rivolgersi a un medico, secondo il New York Times.

Ovviamente, altri diplomatici hanno presto iniziato a esperire (o ricordare) detti sintomi, simili a quelli di Cuba: mal di testa, insonnia, nausea, etc. Una famiglia di quattro persone è stata evacuata quando madre e padre hanno cominciato a mostrare “sintomi neurologici”, “diversi individui” sono stati rispediti negli Stati Uniti per essere sottoposti a esami medici. 

Al di là della loro origine, sia la suo-yang che la nostra “malattia misteriosa” appartengono a una classe medica complessa da affrontare, perché non possono essere fatte rientrare facilmente nell’idea comune di malattia. Alcune sono considerate sindromi culturali, altre disturbi neurofunzionali. Possono colpire qualsiasi cosa, dall’udito alle capacità cognitive al controllo motorio, e molte non hanno cause semplici, meccaniche per così dire, nonostante il loro impatto fisiologico sia innegabile (come si può ben vedere nel caso dell’epidemia di tic nella popolazione di adolescenti a Le Roy, New York). Al contrario, gettano un ponte tra il mentale e il fisico. Esistono all’intercapedine tra narrativo e neurologico. 

Quando un intero gruppo di persone è a conoscenza della malattia, crede nel suo potere, e ne teme il contagio, essa diventa un’epidemia. 

Anche in assenza di armi soniche, o di genitali che si rimpiccioliscono, queste malattie sono molto reali per chi ne soffre, al pari di ansia e depressione, e chi ne soffre mostra spesso anche “sintomi neurologici”. Nella maggior parte dei casi si risolvono in fretta, ma in altri possono causare problematiche persistenti. E quando un intero gruppo di persone è a conoscenza della malattia, crede nel suo potere, e ne teme il contagio, questa diventa un’epidemia. 

Prendiamo il caso dell’isola di Hainan, a sud di Fuhu, dove tra il 1984 e il 1985 si verificò un’epidemia di suo-yang che viaggiò di villaggio in villaggio, durando in totale quasi un anno. Si fece spazio la notizia di una “volpe fantasma”, che talora si tramutava in una vecchia pellegrina che rubava i peni agli uomini e li metteva in cesti coperti che trasportava appesi alle estremità di un palo. Si diceva che due giovani le si fossero avvicinati e le avessero intimato di mostrare il contenuto dei cesti, ma che alla vista dei peni fossero morti di paura. 

Si stima che tra 2000 e 5000 persone furono colpite dall’epidemia nella regione. Secondo i ricercatori dell’ospedale psichiatrico di Guangzhou e altri istituti di ricerca, alcuni residenti anziani di Hainan riportarono episodi precedenti dell’epidemia nel 1948, 1955, 1966 e 1974. Proprio le credenze tradizionali rendevano la suo-yang “possibile”, dunque “familiare”, dunque “reale”. Uno studio successivo dello psichiatra culturale Wolfgang Jilek dimostrò che il 100% delle vittime sapeva già cosa fosse la suo-yang, e aveva “paura di morire” a causa di essa. 

Proprio le credenze tradizionali rendevano la suo-yang “possibile”, dunque “familiare”, dunque “reale”.

La paura, insieme allo “stress socioculturale” , sono ritenuti fattori importanti. Come ha scritto il dottor Li, “Quando in un gruppo di persone giovani, in particolare studenti o operai, si verificano tensione o stress anche comuni, e non ci sono canali adatti a farli defluire, essi tendono a indurre una reazione collettiva emotiva contagiosa, spesso nella forma di isteria di massa, ovvero il verificarsi diffuso di svenimenti, subbuglio emotivo, o conversioni.”

Tale stress non è un passaggio obbligatorio, ma spesso precede le epidemie di psicosi. E un esempio ne è proprio quello della malattia misteriosa cinese. Certo, il lavoro diplomatico non è scevro da stress di questi tempi. E certo, si sentono storie di armi segrete e attacchi sonici a Cuba, e questo dà a un’evenienza simile un sembiante di possibilità, poi familiarità, e infine realtà.

Il fatto che i diplomatici americani possano aver esperito una psicosi di massa non è un segno di debolezza, ignoranza o inciviltà. È parte dell’essere umano. Soffriamo, e raccontiamo storie per spiegarci la nostra sofferenza. Le storie sono contagiose e più potenti di quanto immaginiamo. Possono farsi strada nella nostra fisiologia in modi che ancora non conosciamo del tutto. 

Ma quando c’è molto in gioco e la fonte della nostra sofferenza è invisibile — un vento maligno, una volpe fantasma, un’onda sonica — abbiamo il dovere davanti a noi stessi di scrutinare senza pietà le storie che ci raccontiamo.

Il vero mistero è perché non abbiamo ancora imparato a farlo. 

Questo articolo è stato pubblicato originariamente sulla rivista Undark.

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