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Corn poems

Cosa succede quando una società pianta semi sterili?

Lungo la sua storia, l’uomo ha sempre piantato e tramandato semi. Li ha trasmessi di raccolto in raccolto, di generazione in generazione. Selezionati, come storie da raccontare, li ha piantati e ne ha raccolto i frutti. Questo ciclo si è ripetuto infinite volte, lungo i millenni.

“Per fare tutto ci vuole un fiore”, è una rima che canta un passato perduto già negli anni settanta. Oggi, tra selezioni, ibridazioni e mutazioni, non è più così scontato che da un fiore o un frutto si possano ottenere dei semi che generino a loro volta degli altri frutti. 

In agricoltura, fino a un secolo fa, i semi per il proprio raccolto venivano selezionati ogni anno, come gli ingredienti e i personaggi di una storia personale, per ottenere una resa e un dispendio di lavoro accettabili.

Molti agricoltori di professione oggi preferiscono acquistare semi ibridi (F1) per avere un prodotto in linea con le richieste dei compratori finali. Garantiscono massima resa, resistenza alle malattie, maturazione sincronizzata.  Oltre a non raccontare più una storia personale, questi semi hanno però un problema: danno vita a frutti i cui semi non sono piantabili una seconda volta. In pratica generano frutti bellissimi, ma sterili. Cosa succede quando una società pianta semi sterili?

Il collettivo Anguilla Anguilla ha realizzato una serie di immagini che ritraggono frutti di mais a impollinazione libera, trasformati e non, a testimoniare una diversità e una tutela dei linguaggi “speciali”, come ad esempio quello dell’agricoltura biodiversa. 

Il mais a impollinazione libera permette all’agricoltore di selezionare i propri semi e di piantarli l’anno seguente, ed è quindi responsabile della continuazione della specie e delle storie ad essa connesse. L’agricoltore diventa così custode della biodiversità e del potere generativo ed evolutivo della natura, rimanendo attore e protagonista della storia e dei processi trasformativi che riguardano il suo cibo.

La biodiversità è un linguaggio, che parla anche di geografia sociale e politica. E cosa perdiamo se utilizziamo solo semi ibridati o modificati? Stiamo dando vita a un mondo sterile o a uno più ricco? Quali storie racconteranno o non racconteranno i nostri semi? E come si parleranno con le storie del passato? In che modo un nuovo linguaggio dei semi può influenzare il nostro cibo e le nostre stesse parole?

Il portfolio

Il mais di questa sequenza di immagini, fotografato in pellicola, viene coltivato in Veneto da due agricoltori custodi della biodiversità, che da anni hanno intrapreso un progetto di salvaguardia per tramandare i linguaggi biodiversi alle generazioni future. Il mais bianco Badoera e il mais rosso di San Martino sono mais 8 file, presentano cioè i chicchi disposti in soli otto ranghi lungo la pannocchia (da cui, appunto, l’appellativo 8 file). Sono coltivati presso l’Azienda Agricola Celeghin. Il mais Giallo, il Cinquantino della Castellana, è un mais a ciclo breve, di tipo perlato, a bassa resa. È coltivato presso l’Azienda Agricola Ca’ de Memi. Il progetto fa parte di un lavoro più ampio sul tema della trasformazione.

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